Oggi vorrei parlarvi del "principe azzurro".
Tutte le donne lo aspettano, anche chi lo nega nutre una segreta speranza di incontrare, un giorno, quell'amore grande che le salverà regalandogli quel lieto fine tanto sognato da bambine: il famoso mitologico e fiabesco "...e vissero felici e contenti". Si, "fiabesco". Perchè proprio dalle favole proviene. Dalle favole, dai film e dai racconti ai quali noi siamo stati esposti continuamente per tutta l'infanzia!!
Il lieto fine non è altro che una rassicurante strategia letteraria.
Questi elaborati letterari dovevano finire in qualche modo, no?
Non potevano raccontare il dopo no? O forse si guardavano bene dal farlo.
Quindi noi abbiamo fatto di una strategia letteraria un miraggio esistenziale... perchè?
Perchè abbiamo dato ad una strategia letteraria una reale aspettativa?
E, soprattutto, pur sapendo che il Principe Azzurro non esiste, perchè continuiamo segretamente ad aspettarlo?
Credo che ciò accada perchè nessuno vuole arrendersi all'idea che l'amore che abbiamo sognato ideale e perfetto non esista, nessuno vuole rinunciare a sentirsi amato per quello che realmente è.
Siamo stati esposti ad un metodo educativo che è stato basato su un meccanismo che, perdonate l'estrema semplificazione, può essere riassunto in questo modo:
<<Cerca di diventare quello che la società vuole che tu sia, metti da parte quello che sei e che ti rende unico, perchè solo così sarai approvato e avrai successo. Se lo farai sarai felice.>>
Cerchiamo di immaginare come può risuonare tutto questo nella mente di un bambino: "metti da parte ciò che sei, perchè non è ritenuto amabile, e cerca di essere come ci si aspetta che tu sia, in questo modo sarai amato e non sarai solo".
Inizia, in questo modo, una sfiancante corsa a farsi amare:
cercando di adeguardi ai modelli proposti, in un'attesa spasmodica di quell'essere mitologico, del famoso Principe Azzurro.
Vedremo il Principe Azzurro in ogni partner durante la prima fase dell'innamoramento, ma poi inesorabilmente scomparirà.
L'attesa e la ricerca, spesso dopo una collezione di fallimenti lascerà il posto all'angoscia e alla disillusione..
Purtroppo nel momento in cui rinunciamo ad essere ciò che siamo, a costruire il nostro modo di vedere la realtà, nel momento in cui iniziamo a cercare l'amore fuori di noi e non dentro di noi, poniamo le basi di quella sofferenza e solitudine che molti di noi si portano dentro.
In risposta a tale angoscia, non mettiamo in dubbio il metodo che l'ha generata, non verifichiamo le credenze e le convinzioni che ne sono alla radice ma cerchiamo la soluzione più semplice, la pillola, anzi direi "la terra promessa". E l'angoscia cresce.
Ciascuno risponde come può, ovvero, come sa fare: c'è chi pensa che la relazione sia fallita per avere incontrato la "persona sbagliata" (così generando nell'altro la stessa ferita), c'è chi come conseguenza del fallimento si sente sbagliato, confermando l'idea preesistente di essere inadeguato.
Frequentemente come reazione si crea un muro difensivo, ci trasformiamo in persone che non sentono le emozioni, e spesso, senza rendersene conto si considera l'altro come una gomma da masticare, da cestinare appena finisce il sapore.
Insomma perdiamo la capacità di stare nelle relazioni e la chiamiamo adultità.
Iniziamo a cercare l'altro nei posti sbagliati. Guardiamo nella direzione sbagliata.
C'è anche la possibilità però che a forza di prendere porte in faccia un giorno guardandoci allo specchio qualcosa ci faccia ricordare chi fossimo prima di tutto questo... e cominciamo a sentire il desiderio di ritrovarci.
...E da lì inizia un'altra avventura... che vi racconterò in un altro momento.
Nel frattempo vi invito a fare un esperimento: la prossima volta che incontrate un partner o che vedete il vostro partner, cercate in lui Babbo Narale, lo Yeti o il Mostro di Lockness e, probabilmente scoppierete in una risata. Perchè, come diceva Osho, una risata ci risveglierà!
Così incontrerete la realtà, voi stessi e l'altro potendo scoprire una cosa che nelle favole non è scritta: certe persone son meglio dei sogni!
Ricordate che la terapia non è per chi ha problemi,
E' per chi vuole risolverli.